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“Vado dal medico” in zona rossa ma non era vero: assolto

L'imputato è stato difeso dagli avvocati Gianluca e Pasquale Motta, del Foro di Avezzano. Compilò l'autocertificazione in zona rossa, attestando il falso. Dichiarò che era stato visitato dal medico. E' stato assolto dal giudice ieri perché "il fatto non sussiste". Prima sentenza di questo tipo nella Marsica, destinata a fare scuola.

Una sentenza destinata, in un verso o in un altro, a seminare una visione, non nuova in Italia, ma rara.L’imputato, un rumeno di 30 anni, difeso dagli avvocati del foro di Avezzano Gianluca e Pasquale Motta è dovuto comparire in giudizio ieri davanti al giudice del tribunale di Avezzano perché nel compilare l’autodichiarazione per poter uscire dalla propria abitazione in zona rossa, dichiarò davanti alle forze dell’ordine che aveva dovuto effettuare necessariamente quello spostamento per recarsi dal medico: fatto che poi, però, dopo una verifica, è risultato non rispondente alla verità dei fatti.

I fatti contestati sono successi il 24 marzo del 2020: un’auto venne fermata da due poliziotti, nell’ambito dei controlli per Covid-19. A bordo v’erano due persone.

L’imputato, in quella circostanza, ai due poliziotti fornì un modulo di autodichiarazione datato 23 marzo 2020, correggendo la data con quella del 24 marzo 2020 davanti agli agenti. Giustificò all’epoca il proprio spostamento, adducendo che si era appena sottoposto ad una visita medica, indicando anche il cognome del presunto medico curante. Da successivi accertamenti, però, emerse un’altra realtà, ovvero che quella visita medica non era mai avvenuta: anzi, il 30enne non era nemmeno un paziente del medico citato.

Ieri, il 30enne, K.A., è stato assolto dal giudice perché il fatto non sussiste, quindi con formula piena. Per capire le motivazioni della sentenza occorre inquadrare il periodo storico di riferimento.

Per il giudice di Avezzano – la cui sentenza sicuramente è destinata a fare scuola nella Giurisprudenza non solo locale – non vi era alcun obbligo giuridico di riportare la verità dei fatti nell’autodichiarazione per gli spostamenti. Le parole dell’imputato infatti non dovevano “essere trasfuse in un atto pubblico destinato a provare la verità della dichiarazione narrata al suo interno”. Nel caso specifico, nessuna verbalizzazione si imponeva nell’immediato dei fatti: non esisteva, cioè, una norma che imponesse al dichiarante di dire la verità nell’autodichiarazione. In Italia, di sentenze di questa natura ne esistono pochissime, oltre a quella di Avezzano. Una emessa da un giudice del Tribunale di Reggio Emilia (che fa leva anche su presupposti di incostituzionalità) e un’altra riconducibile al Tribunale di Milano: nella sentenza il giudice milanese afferma che “non si può configurare un reato quando si manifesta una intenzione di andare da qualche parte da parte del cittadino”.

In pieno 2020, quando vigevano le regole più rigide anti-contagio per bloccare lo sviluppo della pandemia, vennero dai Decreti Legge pubblicati dal Governo inibite tutte le possibilità di spostamento, eccezion fatta per comprovati motivi di salute, lavoro o necessità. Secondo il giudice di Avezzano, però, “nessun obbligo di verità poteva gravare sul dichiarante, quindi il fatto non sussiste”.

Sentenza apripista nella Marsica e prima, di questo tipo, in Abruzzo

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