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Quando l’Italia è uno stile di vita: in America c’è il ‘Gran Caffè’ che proviene dall’Aquila

L’Abruzzo ha un qualcosa che le altre Regioni, forse, non hanno o che posseggono in minor quantità: la voglia d’identità. Sempre e comunque, anche ai confini del mondo. Tutti, anche i meno social, li ricorderanno per la loro avventura pazzesca accaduta, la notte di Ferragosto, a Time Square, in cui, Michele Morelli e Stefano Biasini hanno praticamente inventato il modo più divertente ma efficiente al tempo stesso di fare marketing per la loro Regione di provenienza. Nemmeno nei film, in fondo, si son visti o si son notati simili sogni concretizzarsi; un po’ come se tutte le ‘ottime annate’ del Conte di Montecristo e tutti i romanzi di formazione alla Oliver Twist si fossero, improvvisamente, rimpiccioliti in appena due anni di attività. Ma forse è questo l’effetto che fa la grinta quando non ha paura di nulla: una specie di rincorsa che fa muovere le ossa delle gambe sempre e comunque. «Non era una cosa preparata, lì, a Time Square: abbiamo improvvisato tutto, ma il video, postato durante il viaggio di ritorno da New York, è divenuto praticamente virale. Dalla sera della pubblicazione del post alla mattina seguente, è successo il pandemonio. Abbiamo offerto, poi, gli arrosticini, dopo averli cotti, a tutti i passanti della piazza newyorkese: il senso era semplicemente lo stare assieme. All’indomani dell’azione goliardica, due macellai di casa nostra ci hanno chiamato e ci hanno detto: ‘grazie per quello che avete fatto’. Badiamo bene, noi, in realtà, non abbiamo fatto nulla, ma, quel ‘nulla fatto’, per così dire, per scherzo e per gioco, ha fatto felici molti, in Abruzzo, perché ha ‘venduto’ all’Estero un pezzo di Regione».

img_4935È passato un mese quasi esatto da quell’avventura nottambula e notturna, ma le chiacchiere ancora si sentono qui, qui dove l’Abruzzo fa sempre più il callo a sé stesso. All’Estero, invece, l’Abruzzo sembra essere una luce ancora accesa al di là di una porta socchiusa, un mistero ancora da svelare. «Io e Stefano siamo anche i titolari del ‘Gran Caffè’ di Piazza Duomo, a L’Aquila, ossia lo storico caffè della città. Sin da quando abbiamo aperto, il nostro modo di lavorare ci ha sempre portato molta fortuna; ma ecco che il terremoto del 6 aprile di sette anni fa ci ha tolto davvero la terra sotto ai piedi, scombussolandoci letteralmente la vita e portandoci a chiedere se non esistesse un’altra via. Tre giorni dopo quella data nera, infatti, avremmo dovuto inaugurare assieme una gelateria proprio a L’Aquila. Quel fulmine crudo a ciel sereno, però, per noi, poi, è diventato  una sorta di molla e di scommessa con il futuro: a quel punto, non ci siamo dati per sconfitti, ma abbiamo riaperto a L’Aquila: siamo stati tra i primi commercianti a tornare in azione dopo il sisma».

img_4939Questo bar affatto classico, che, tra l’altro, ha agguantato nel 2007 anche la nomina prestigiosa di bar dell’anno ed ha carpito niente di meno che il secondo posto alla Coppa del Mondo di Gelateria (Stefano Biasini, infatti, è maestro gelatiere campione italiano e vice campione del mondo), dopo anni di esperienza sulle terga, ha messo in moto la sua station wagon per gli States. Il format ‘Gran Caffè L’Aquila’, quindi, è stato riprodotto in America, proprio a Philadelphia. «Qui, – racconta Morelli – siamo stati di nuovo costretti a rimetterci in gioco da capo, sia spiritualmente che economicamente. Abbiamo rischiato sulla nostra pelle e, soprattutto, sul nostro talento; questo ci ha portato, oggi, ad avere ben 70 dipendenti a lavorare con noi. In questa landa di terra americana, è il caso di dire che siamo, a tutti gli effetti, il bar di punta e di riferimento degli italiani americanizzati». I due ambasciatori del gusto abruzzese all’Estero mostrano, dal canto loro, quindi, una storia infinita alle spalle, fatta di imprese dell’ultima ora. A tal proposito, una domanda nasce spontanea: perché il ‘Sistema Italia’ fa così gola all’Estero? «Qui, se lavori seriamente, – rispondono entrambi – le porte ti si aprono innanzi senza problemi. Abbiamo deciso di portare in America la nostra filosofia, più che altro, e non solamente le nostre braccia operaie. Quando si supera la Statua della Libertà, è come se l’ideologia americana ingurgitasse tutto ciò che incontra lungo la propria via; la metropoli, infatti, sconvolge. Ma noi siamo rimasti sempre fedeli al nostro modo di lavorare, fedeli al palato italiano, al caffè buono, al gelato che sa di tricolore». Alla città di Philadelphia, insomma, il modo di lavorare il gelato da parte dei due cugini abruzzesi di imprenditoria avvincente piace eccome. Una coppia da medaglia d’oro. «Il mondo che si vive fuori, questo mondo fatto di chance e di attenzioni, di strade da percorrere senza intoppi e di successi giunti per merito, esiste. Stando in America, mi rendo sempre più conto che l’Italia è un paese meraviglioso, senza eguali dal punto di vista turistico, ma che non viene sfruttato a dovere dalla gente che ci vive. Bisognerebbe crescere in Italia assaporando tutto dell’Italia: le sue tradizioni, i suoi frutti, i suoi aromi mai artificiali ed, invece, molto spesso si sceglie sempre la via più facile, dimenticando il sacrificio della vera ricetta della pizza napoletana all’interno di un angusto cassetto, buono solo per la biancheria sporca».img_4946

img_4943Sbirciando Tripadvisor.it, in fondo, il senso è lo stesso: qui, per i due aquilani, piovono complimenti da ogni dove; come se la fortuna bendata (che poi bendata non lo è quasi mai, perché sa sempre dove andare a cogliere i suoi ‘eroi’ del rischio) avesse baciato sulla fronte questi due marinai del gusto nostrano. Tanto tempo fa, il mito del sogno americano faceva innamorare l’Italia. Adesso, in quel di Philadelphia, un pezzo gustoso d’Italia fa innamorare gli americani. «In America, ora, sanno che L’Aquila è una città dell’Abruzzo colpita dal terremoto e non solo un volatile, grazie anche al suo nome esportato oltreconfine dal nostro lavoro. Quando i miei clienti americani scelgono di trascorrere le cosiddette vacanze romane in Italia, da quando ci conoscono, dedicano sempre una mezza giornata del loro ‘italian tour’ a visitare la città di L’Aquila, nonché il nostro ‘Gran Caffè’ autoctono. Mi rendo conto che il turismo, in questo modo, non ha bisogno della solita burocrazia, ma unicamente di tanto olio di gomito e di fantasia rivoluzionaria. Abbiamo esportato all’Estero, non solo un nome, ma anche il sapore di un territorio». Un coraggio da leoni, quello dei due aquilani, abbinato ad una raffinatezza dei passi prescelti che li accomuna, in un certo senso, anche alle antilopi. «Io non devo dimostrare niente a nessuno, anche se un leggero velo in più di apprezzamento da parte della terra che ci ha, in fondo, partorito non farebbe male. A volte, questo abbraccio che ci dovrebbe provenire dal nostro mondo di partenza, si fa sentire poco; l’Italia, per chi vi è nato, raffigura il bel Paese anche altrove, ma, oggi, nessuno vuole più starci». E le istituzioni che dicono, di fronte a cotanto successo estero? «La popolazione ci sostiene e ci esorta. Sulle istituzioni preferisco tacere. Da bambino, – conclude Morelli – avrei tanto voluto fare il veterinario, poi la vita mi ha stupito da sola, ma sono sicuro di non aver mai perso una caratteristica importante, durante il mio cammino: la voglia d’indipendenza». Questo stesso loro passo potrebbe, infine, essere consigliato a tanti giovani, rimasti in Italia, in cerca di strade e di risposte? «Diciamo la verità, nuda e cruda: noi lo consiglieremmo di corsa».

img_4944«Io – aggiunge Morelli – ho trascorso 22 anni della mia vita a fare questo lavoro in Italia; qui, nel giro di pochi anni, ho capito finalmente il vero significato delle leggende reali che riempiono il sogno americano». Il turismo italiano all’Estero, oggi, ha bisogno solo ed esclusivamente di una pazza fantasia.

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