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Il primo giorno di scuola nel delicato ricordo di Giuseppe Lalli

«Come un vecchio santino nel portafoglio, logoro ma ben custodito»

Una descrizione attenta e particolareggiata quella con cui Giuseppe Lalli racconta il suo primo giorno di scuola, un ricordo che definisce come «un vecchio santino nel portafoglio che ogni tanto spunta tra le carte, logoro ma ben custodito, che si accarezza con lo sguardo e si ripone con cura», scritto in punta di pennino e contestualizzato nell’ultima ondata migratoria, quella del secondo dopoguerra.

L’autore introduce il suo racconto con l’immagine per mano a sua madre e una vecchia cartella di cuoio enorme sulle spalle «come se mi dovesse bastare per una lunga carriera», all’interno della quale vi erano matite e pastelli alla rinfusa. «Le poche centinaia di metri che percorsi quel primo giorno per recarmi a scuola furono una piccola marcia trionfale: tante persone, soprattutto donne anziane, mi facevano gli auguri, come se avessi vinto un concorso e mi accingessi a ricevere il premio».
Ed è proprio su questo punto che l’autore si sofferma poiché fu in quel momento che ebbe la chiara coscienza che per lui cominciasse la vera vita, l’inizio di una sfida attesa da lungo tempo.

La scuola era in un edificio ricavato in un antico convento di frati francescani ad Assergi, alla falde del maestoso Gran Sasso aquilano, «un antico castello medievale di cui si conservavano due delle porte di accesso».

Da qui le sensazioni provate «un po’ di rimpianto nel lasciare mia madre e subito, tra il confuso viavai di mamme e maestre e dopo aver attraversato un piccolo mare di grembiulini neri e nastri blu, mi ritrovai in una piccola aula che sarebbe stata la stessa per tutti e cinque gli anni del corso». Una classe poco numerosa e al cui appello mancavano due bambini, Teresa, che era emigrata in Australia con la famiglia e Peppino, partito di lì a poco per l’America.

I banchi erano ancora di legno, si scriveva con un pennino intinto nell’inchiostro liquido e con il passare dei giorni, a contatto con le prime lettere dell’alfabeto, scrive Lalli «cominciai a sentirmi a casa mia, e da quella casa non sono più uscito».

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